L’esaltazione del male

Non seguo Sanremo in diretta. Non per fare lo snob o darmi arie da intellettuale con la puzza sotto il naso, è che cinque ore davanti alla tv per quel tipo di spettacolo sono davvero troppe. Preferisco guardare un film. A proposito, ieri ho visto “Maestro” di Bradley Cooper, la storia del compositore Leonard Bernstein, film bellissimo che merita tutte le 7 candidature agli Oscar. Chiusa parentesi cinematografica. Dicevamo di Sanremo. Il giorno dopo vado a recuperare quei tre o quattro momenti salienti su RaiPlay e mi tengo aggiornato. Così ho appreso che il cantante napoletano Geolier avrebbe buone possibilità di vincere il festival; quindi, ho cercato il video ufficiale del suo brano, destinato a un pubblico di giovanissimi. Per metà della sua durata viene mostrato un tipo che sfascia a pugni la porta di un bagno pubblico mentre tiene in mano una pistola semiautomatica, che ogni tanto si punta alla tempia; per l’altra metà, si esibisce una ragazzina che impugna un coltello tipo “Rambo” con il quale minaccia il tipo di prima. Alla fine, i due corrono in auto a tutta velocità fino ad accappottarsi. Poi, noi ci chiediamo il perché di tanta violenza nei giovani. Facciamo dibattiti con esperti di ogni genere per cercare di capire che risposta dare al fenomeno. Ve la do io la risposta: far scendere a calci nel culo da quel palco chi fa quel genere di video. In un mondo normale, la RAI (Servizio Pubblico pagato da tutti gli italiani) non dovrebbe consentire una cosa del genere.

“La resistenza delle donne” – Benedetta Tobagi – Einaudi – Premio Campiello 2023

Benedetta Tobagi, con “La resistenza delle donne”, ha vinto il premio Campiello 2023. Un libro che rende onore all’impegno delle donne durante la Resistenza.
La foto simbolo scelta per la copertina fu scattata da un reporter americano a Pistoia, all’incrocio tra via Abbi Pazienza e via Curtatone e Montanara, durante la Liberazione della città avvenuta l’8 settembre 1944. Nella fotografia si riconoscono da sinistra Israele (Lele) Bemporad, Liliana Cecchi, Bumeliana Ferretti Pisaneschi, Enzo Giorgetti (in secondo piano e con il volto parzialmente coperto dal fucile), Marino Gabbani, Lina Cecchi, un uomo russo non identificato e Ilva (Raffaella) Ferretti.
Il libro inizia così:
“Sai chi sei?
Sai a cosa sei chiamata?
Per cosa vale la pena vivere e morire?
Che cosa è giusto fare?
Rompere con clamore o resistere in silenzio nel quotidiano.
Tuffarsi al centro del campo di battaglia o restare
ai margini – parete, pilastro, confine, protezione; grembo e custode del dolore degli altri. O entrambe le cose?
Invisibile o sfrontata, mani impeccabili o spellate, sporche d’inchiostro o di farina, mitra in spalla o in casa a dar di pedale sulla macchina da cucire. In quanti modi puoilottare?
Chi vuoi essere?

Il mondo al contrario.

Ho letto “Il mondo al contrario”, di Roberto Vannacci. Si tratta di una riflessione personale su alcuni temi di attualità quali l’ambientalismo, l’energia, la società multiculturale e multietnica, la sicurezza e la legittima difesa, la casa, la famiglia, la Patria, il pianeta lgbtq+, le tasse, le nuove città e l’animalismo. Il punto di vista è rigorosamente conservatore e tradizionalista. Potrebbe tranquillamente diventare il programma di un partito di destra. Anzi, in gran parte corrisponde già ai programmi dei partiti di destra. Come pensavo, la stampa progressista ha amplificato alcuni punti, decontestualizzandoli. Frasi che si prestano a critiche e che io stesso non condivido. Per esempio, l’utilizzo del termine “normale” come sinonimo di “maggioritario”. Così si finisce con l’affermare una cosa ovvia, cioè che gli omossessuali sono una minoranza rispetto agli eterosessuali, con una costruzione lessicale oggettivamente impresentabile quando si afferma che i gay non sono “normali” in quanto diversi, per orientamento sessuale, dalla maggioranza. Personalmente, non condivido assolutamente l’utilizzo di tale termine. Io penso che é normale ciò che corrisponde alla propria natura. Per un eterosessuale è normale cercare una persona dell’altro sesso, per un omossessuale è normale preferire una persona dello stesso sesso. Ma Vannacci dedica a questo argomento più di 50 pagine dove c’è scritto anche “Nessuno vuole penalizzare i gay, discriminarli, odiarli e sottometterli, anzi, sono il primo sostenitore dell’assoluta libertà di manifestare i propri gusti e le proprie predilezioni nei modi che si reputano più opportuni”. In definitiva, la sua posizione è molto più complessa e articolata del semplice virgolettato che gli è stato attribuito per impallinarlo. L’obiettivo del corposo capitolo è quello di mettere in risalto tutta una serie di “esagerazioni” ed “ostentazioni”, spesso di cattivo gusto, maturate intorno a questo mondo. Egli cita, per esempio, la storia del genitore 1 e del genitore 2, la proposta di privare il linguaggio e alcuni testi scolastici di riferimenti all’identità sessuale, ecc. Stessa cosa sulla infelice (a dir poco) frase su Paola Egonu che non rappresenterebbe l’italianità per il suo colore della pelle. Non vi nascondo che, per motivi personali (chi conosce la composizione della mia famiglia sa di cosa parlo) mi ha fatto veramente incazzare. Non si può collegare l’italianità ai tratti somatici e al colore della pelle, altrimenti si finisce nella stessa logica della “pura razza ariana” di hitleriana memoria. La cosa buffa è che, nello stesso capitolo, lui stesso dice e argomenta che essere italiani significa condividere lo stesso sistema di valori e che tutti gli stranieri che accettano questo principio sono i benvenuti nel nostro paese. Insomma, in alcuni punti si è incartato da solo ma il suo intento, nel capitolo dedicato alla multirazzialità, è quello di affermare la necessità di un’accoglienza che, attraverso una corretta integrazione, salvaguardi i pilastri della nostra cultura e della nostra civiltà. Mi fermo qui, l’ho fatta troppo lunga. Comunque, credo di aver fatto bene a leggere il libro. Posso dire che alcune cose le condivido altre no ma ritengo che si tratti di una libera espressione del pensiero che merita lo stesso rispetto di tante altre pubblicazioni che affrontano gli stessi temi con visioni opposte. Di una cosa ho avuto l’ennesima dimostrazione: una certa stampa opera scientemente per manipolare il nostro pensiero. Ve lo dimostro con il finale dell’articolo di un importante quotidiano nazionale pubblicato oggi online, che si conclude con questa frase ad effetto: “Quando con tutta la famiglia ci trasferimmo a Parigi … per la prima volta, cominciai a venire a contatto quotidianamente con persone di colore. Mi ricordo nitidamente quanto suscitassero la mia curiosità tanto che, nel metrò, fingevo di perdere l’equilibrio per poggiare accidentalmente la mia mano sopra la loro, mentre si reggevano al tientibene dei vagoni, per capire se la loro pelle fosse al tatto più o meno dura e rugosa della nostra». Quando l’ho letta, visualizzandolo il generale come appare nelle foto sui giornali, la prima cosa che ho pensato è stata: solo un essere ignobile può fare una cosa del genere. Leggendo il libro, invece, mi sono accorto che il giornalista aveva omesso di indicare che il racconto inizia con la frase: “Fu nel 1975 …”. Il generale parla della prima volta che ha visto una persona di colore, quando aveva 6 anni, e racconta le reazioni di un bambino di 6 anni. Ma il giornalista, chissà perché, ha dimenticato di scriverlo.

La libertà di opinione.

La libertà di opinione è sacra. La libertà di esprimere liberamente il proprio pensiero è il fondamento di ogni vera democrazia. Certo, libertà di opinione non vuol dire arbitrio. Non rappresenta una sorta di lasciapassare per poter dire ciò che ci pare senza pagarne le conseguenze. In nome della libertà di opinione non si può offendere la dignità e l’onore di altre persone, non si può incitare all’odio verso gruppi di diverso orientamento religioso, sessuale, politico, non si possono violare altre libertà riconosciute dalla nostra Costituzione e dalla legge. Ma sia chiara una cosa, e per questa cosa io mi batterò sempre, in Italia solo un Giudice, nel corso di un regolare processo, può stabilire se, quando e come si è abusato di tale libertà. Al di fuori di tale contesto, non esistono menti più illuminate di altre che possano stabilire ciò che si può dire e ciò che non si può dire, ciò che è corretto e ciò che non lo è, ciò che è giusto e ciò che non è giusto. Esiste una sola parola nel nostro vocabolario per definire un comportamento del genere ed è “censura”. Non importa se a farla è il Ministero della cultura popolare nei regimi totalitari oppure un gruppo di “saggi” al soldo di testate giornalistiche negli odierni sistemi democratici, il risultato è sempre lo stesso: voler imporre agli altri il proprio pensiero.

Per ricordare cosa non dimenticare …

Da più di 30 anni celebriamo il ricordo delle stragi di Capaci e di via D’Amelio. I volti di Falcone e Borsellino sono diventati un’icona da esibire al momento giusto “per non dimenticare”. Per non dimenticare cosa? Ci ricordiamo ancora cosa non dobbiamo dimenticare? Ci ricordiamo ancora che cos’è la mafia? Non ne sarei così sicuro visto che la mafia di quel periodo storico non esiste più. Il mondo è cambiato. Sono cambiati gli assetti e gli equilibri politici, i metodi e le forme di manifestazione del potere occulto che sfida quello fondato sulle leggi. Niente più bombe e omicidi, oggi, ma la mafia c’è sempre. E’ intorno a noi, la sfioriamo tutti i giorni e spesso ne subiamo le conseguenze. La mafia è quando tre o più persone si avvalgono della forza di intimidazione del loro vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per … per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri. Questo ci dice il codice penale. Questa è la mafia, anzi le mafie perché ce ne sono di vario tipo. Le mafie gestiscono ciò che dovrebbe essere nostro per darlo agli amici e agli amici degli amici. Un posto di lavoro, un appalto, una promozione, un posto letto all’ospedale, una tac e perfino un passaporto, di questi tempi, si può ottenere esercitando il metodo mafioso. Almeno un paio di volte all’anno ricordiamocelo: non rispettare le regole è il gioco preferito dalle mafie.

Il medico della mutua.

Eppure, noi boomer, abbiamo vissuto un’epoca in cui per farti visitare dal tuo medico di base bastava andare in ambulatorio senza appuntamento o prenotazione, perché ce n’erano tanti. Se non te la sentivi, lo chiamavi e veniva lui a casa tua. Il medico non aveva il computer davanti a sé ma sapeva tutto di te e della tua famiglia, ti visitava e solo se era veramente necessario ti scaricava allo specialista. Noi boomer potevamo chiedere al nostro medico di base di prescriverci un ricovero di qualche giorno in ospedale solo per fare degli accertamenti in tutta tranquillità e riposare un po’. Il posto letto si trovava sempre. Noi boomer le medicine, gli esami e gli interventi non li pagavamo. Ci pensava la “Mutua”. E se i soldi allo Stato non bastavano per pagare tutto questo, se li faceva prestare facendo debito pubblico. Così eravamo felici e continuavamo a votarli, senza nemmeno stare a pensare che i debiti, prima o poi, si pagano. E poi, all’epoca i soldi (le compiante lire) le stampavano in casa. Che problema c’era? Noi boomer stavamo meglio di chi ci ha preceduto e molto meglio di chi è venuto dopo di noi perché la Sanità l’abbiamo usata, abusata e distrutta pensando che il mondo sarebbe finito con noi. Noi boomer saremo ricordati come la generazione più egoista che la storia abbia mai conosciuto.

Berlusconi è morto, viva Berlusconi.

Berlusconi è stato un grande uomo. Una mente superiore, un vincente. La sua vita è stata coronata di successi: nel mondo dell’imprenditoria, nello sport e nella politica. Ha avuto molti nemici che hanno provato a fermarlo in tutti modi ma non ci sono riusciti. Esce di scena da attore protagonista quale è sempre stato. Ora qualche cane banchetta sulla carcassa del leone morto ma anche questo fa parte della miseria umana. Il segreto di Berlusconi è stato quello di riuscire a incarnare i sogni inconfessabili dell’italiano medio: sfuggire alle tasse, abbuffarsi di sesso e veder vincere la propria squadra di calcio. Lo ha fatto con l’innata dote di simpatico seduttore grazie alla quale è riuscito a farsi perdonare tutto. Da quelli che lo votavano, ovviamente.

A me Berlusconi non è mai piaciuto, per quattro motivi: è stato l’uomo che ha traghettato l’Italia nell’era della post-verità (la nipote di Mubarak ne è testimone); con le sue televisioni ha diffuso una sottocultura di massa che ancora oggi alimenta milioni di microcefali con programmi spazzatura; ha occupato il centro della politica impedendo per quasi trent’anni ogni possibile evoluzione che fosse diversa dal berlusconismo o dall’antiberlusconismo; ha introdotto la pratica (poi seguita da altri) di far eleggere in Parlamento persone senza alcun merito e dignità. É stato il primo anche in queste degenerazioni, ma non è stato l’unico e non sarà nemmeno l’ultimo. Purtroppo.

Detto questo, con il rispetto che si usa per i Re : Berlusconi è morto, viva Berlusconi.

Tu non sei libero.

Ora sono libero“. La chiave di lettura del dramma che si è consumato a Senago sta tutta in questo messaggio che Alessandro Impagnatiello avrebbe inviato alla sua amante dopo aver ucciso Giulia e il bambino che portava in grembo. “Se n’è andata, adesso sono libero“, avrebbe detto. La “libertà” affermata come valore assoluto e irrinunciabile per il quale si è disposti a compiere il più atroce dei crimini. Ma di quale libertà parlava? E’ importante chiarirlo perché “libertà” è una delle parole più belle che possa essere pronunciata da un essere umano e non è giusto utilizzarla a pretesto dell’orrore. La “libertà” che invoca l’assassino è l’arbitrio amorale del male assoluto. E’ la ricerca ossessiva del piacere ad ogni costo. Ogni ostacolo che può impedirlo deve essere abbattuto: con la menzogna che diventa abitudine di vita e persino con un coltello, se necessario. E’ la fuga da ogni forma di responsabilità, il rifiuto dalle conseguenze delle proprie azioni. No, questa non è libertà. Questo non significa essere libero. Tu libero non lo sei mai stato perché non hai mai scelto. Quella che tu chiami “libertà” è solo una misera e ignobile forma di egoismo. Tu l’hai uccisa la libertà. Giulia era una donna libera, non tu. Lei ha scelto liberamente di avere un bambino, di affrontare un cammino fatto di gioie e di sacrificio, ha scelto l’amore che ti ha donato, non immaginando che in questo mondo potessero esistere persone come te. Tu non sei libero, non lo sei mai stato e non lo sarai mai.

I figli degli uomini e i figli dei cani.


E così, anche il Papa è finito nel mirino degli animalisti. A scatenare la loro ira funesta è stato il racconto di due episodi durante il suo intervento agli Stati generali della Natalità. Due fatti accaduti in piazza San Pietro, dove il Papa si è ritrovato davanti a cagnolini trattati come figli dalle rispettive padrone. Il primo risale a due settimane fa, quando il suo segretario si è avvicinato a una donna con un passeggino: «Lui, un prete tenero – dice Bergoglio – si avvicina per vedere il bambino. Era un cagnolino». E poi l’altro episodio, durante l’udienza del mercoledì, quando il Papa è andato a salutare i fedeli e ha incrociato una signora di 50 anni che ha aperto la borsa e, mostrandogli un cagnolino, gli ha detto: “Me lo benedice il mio bambino?”. Il Papa l’ha rimbrottata: «Signora tanti bambini hanno fame e lei col cagnolino…”».
Tanto è bastato per scatenare una campagna d’odio contro di lui che ha visto la partecipazione anche di illustri intellettuali di certi salotti radical chic.
Conosco bene questi meccanismi. Qualche anno fa è toccato anche a me finirci dentro. A me che ho sempre amato i cani e che ho pianto come un bambino quando, sette anni fa, persi la mia Ceylon. Il pastore tedesco femmina che nei romanzi di Casabona si chiama Snaus. All’epoca, uno sciagurato, si filmò mentre uccideva un cagnolino di nome Pilù sbattendolo contro il muro e diffuse il video sui social, scatenando una giusta reazione di indignazione. Questo movimento di protesta organizzò delle manifestazioni che portarono alla decisione di erigere un monumento a ricordo del povero cagnolino. Io mi permisi di osservare che i monumenti si dovrebbero dedicare agli eroi che hanno sacrificato la loro vita per gli altri. Che, invece, vengono spesso dimenticati. Apriti cielo. Ci mancò poco che non fui costretto a trasferirmi in una località segreta.
Quindi, per quello che può servire, io sto con il Papa. Con tutto il rispetto e l’amore per i cani, i figli della specie umana si chiamano bambini e non hanno la coda. I figli dei cani si chiamano cuccioli, sono bellissimi, teneri, ci fanno compagnia e meritano di essere amati ma sono diversi dai bambini: hanno la coda, il pelo e abbaiano. Queste due cose non dovrebbero mai essere confuse come, purtroppo, spesso avviene.
Il Papa li ha sempre benedetti gli animali, si trovano tante foto in rete che lo dimostrano. Anche se la campagna di odio che è partita nei suoi confronti vorrebbe far credere che si rifiuta di farlo. Lui ha voluto solo richiamare l’attenzione su tanti bambini (quelli veri) che muoiono di fame e vivono in condizioni disumane che meriterebbero, quantomeno, lo stesso affetto e la stessa attenzione che viene dedicata qui da noi ai cani. Una società che chiama bambino un cane e si gira dall’altra parte di fronte a bambini che muoiono di fame è una società malata d egoismo che ha perso il contatto con la realtà. Certo, una cosa non esclude l’altra: ti puoi occupare del cucciolo e ti puoi occupare del bambino. Ma se consideri bambino il cucciolo vuol dire che il vero bambino non lo vedi più.

E’ Figlie – I figli, una bellissima poesia di Lello Florio.

E’ Figlie 

Mio padre m’ha ditto
ca ‘o pate l’ha ditto
ca ‘e figlie se vasano n’suonno?
Adesso capisco pecché si me vase me pare ca me mette scuorno!
E figlie si dormono non ponnu sapé si ‘o pate po se l’ha vasate.
Quand’ero vuaglione io desiderava sti gest d’affette a papà.
Lui condizionato dei detti do pate non è riuscito a me fa.
Aspettava ca papà mi veniva a vasà, quante notti so state scitate,
po quande veniva fingevo e durmì
e non mo puteva abbraccia teneva paura ca si mi scopriva po’ non mo veniva chiu a dà.
E figlie si dormono non ponnu sapé si ‘o pate po se l’ha vasate.
“Mio padre m’ha ditto
ca ‘o pate l’ha ditto
ca ‘e figlie se vasano n’suonno?
Però certi detti,
sono detti sbagliati,
è inutile a ce girà attuorno.
I’so’ stato figlio,ma mò, songo pate,
‘sti ‘ccose me songo mancate.
Picciò, nun aspettoca vanno a durmì,
I’ ‘e figlie m’è vaso scetate.

(Lello Florio)

I figli

Mio padre mi ha detto che il padre gli ha detto
che i figli sì baciano quando dormono?
Adesso capisco perché se mi bacia sembra che ho vergogna!
I figli se dormono non possono sapere se il padre poi se li è baciati.
Quando ero ragazzo io desideravo questi gesti di affetto da parte di mio padre.
Lui condizionato dai detti del padre non è riuscito a farmeli.
Aspettavo che mio padre mi veniva a baciare, quante notti sono stato sveglio,
poi quando arrivava fingevo di dormire
e non potevo abbracciarlo, avevo paura che se mi scopriva non veniva più a baciarmi.
I figli se dormono non possono sapere se il padre poi se li è baciati.
Mio padre mi ha detto che il padre gli ha detto che i figli sì baciano quando dormono?
Però certi detti sono sbagliati,
è inutile che ci giri intorno.
Io sono stato figlio, ma ora sono padre,
queste cose mi sono mancate. perciò, non aspetto che vanno a dormire,
i figli me li bacio quando sono svegli.