Roma, Idroscalo di Ostia

Il corpo della ragazza stava dentro un sacco di plastica nero, di quelli grandi che si usano per i bidoni da giardino. Era lì da tempo, sepolto sotto un metro di sabbia. Coperto da macchie di lentisco, di ginepro e dai bianchi gigli di mare che si concedevano all’incerto sole autunnale. Poco lontano, una risacca lenta si infrangeva sulla scogliera eretta per contenere la furia del mare in inverno e sbuffava sul silenzio del mattino a tratti interrotto dallo stridulo lamento dei gabbiani.

Vincenzo di scavi se ne intendeva, faceva quel mestiere da più di quarant’anni. Diceva sempre che il braccio della ruspa era il suo terzo braccio, il più forte e anche il più importante visto che gli aveva consentito di mantenere la famiglia e assicurare un futuro dignitoso ai figli. Gli agenti del XVII distretto di polizia lo avevano chiamato la sera prima. Avevano ricevuto una telefonata anonima che annunciava la presenza di un cadavere seppellito sotto la sabbia all’Idroscalo. L’uomo, che parlava un italiano privo di inflessione dialettale, era stato anche molto preciso nell’indicare la zona dove scavare.

Dopo essersi consultati con il magistrato di turno, i poliziotti avevano deciso di verificare la segnalazione. Non avrebbero potuto fare altrimenti, considerato il luogo chiamato in causa.

L’Idroscalo di Ostia di segreti diventati con il tempo veri e propri misteri ne custodiva tanti. A iniziare da quello legato alla terribile morte di Pier Paolo Pasolini, che proprio lì fu ucciso nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975. Il suo corpo martoriato venne trovato nel mezzo di uno sterrato argilloso coperto da sabbia grigia, circondato da un nugolo di baracche di pescatori dai colori più disparati. Quelle che i burocrati, nelle inutili ordinanze di sgombero succedutesi nel tempo, chiamavano manufatti abusivi. Costruzioni improvvisate che, invece di essere demolite, negli anni sono aumentate di numero e sono diventate case per chi una casa non ce l’aveva e se l’era dovuta inventare.

Vincenzo lavorava spesso da quelle parti e nemmeno ci faceva più caso al degrado che aveva intorno. Era così da sempre e così sarebbe restato, nonostante i roboanti proclami dei politici che, in tempo di elezioni, promettevano soluzioni miracolose. Ogni città ha bisogno di un tappeto sotto il quale nascondere la propria polvere. Un luogo lontano dove relegare i perdenti, quelli che non sono riusciti a sedersi al tavolo del benessere e delle opportunità. Un posto ai margini dove gli ultimi si possano arrangiare e sopravvivere alla meno peggio senza eccessive pretese.

Lo avevano convocato per le sette del mattino. Ad aspettarlo c’era solo la volante che avrebbe dovuto smontare dal turno di notte. Ai due membri dell’equipaggio, l’agente scelto Marco Rovai e l’agente Rita Ballarin, era stato detto di trattenersi in straordinario per un paio d’ore. Giusto il tempo di fare qualche buca sulla spiaggia per mettere a posto le carte a futura memoria, in modo da poter dire che qualcosa era stato fatto. I due accolsero la richiesta sbuffando, come si fa quando ci si trova al cospetto di una grande, imprevista e inevitabile rottura di coglioni. Gli ordini sono ordini e devono essere eseguiti. Piaccia o non piaccia. In ogni caso, per sottolineare il loro scarso entusiasmo, dopo aver dato indicazione all’operaio su dove scavare, tornarono a sedersi in macchina in attesa che la farsa finisse.

Dopo una mezz’ora passata a fare buche e a ricoprirle, Vincenzo si accorse che la benna aveva toccato qualcosa di più consistente della sabbia. Lasciò la presa e si allungò di mezzo metro per sondare il terreno intorno e rendersi conto di quanto fosse grande l’ostacolo. Chi si occupa di movimento terra sa bene che deve fare molta attenzione quando scava, ci vuole poco per tranciare un cavo elettrico o una conduttura e lasciare un intero quartiere senza corrente o senz’acqua per giorni. Per non par lare della probabilità, altissima a Roma, di incappare in qualche reperto archeologico dell’antica città.

Quando si rese conto che si trattava solo di un sacco di plastica, tirò un sospiro di sollievo e imprecò a denti stretti immaginando qualcuno che aveva chiuso in quel sacco i rifiuti di una giornata passata al mare oppure la carcassa di un cane morto di cui non sapeva come sbarazzarsi. Lo fece rotolare su un lato della duna e tornò a scavare. In un primo momento, non diede molto peso alla cosa. Per come gliel’avevano prospettata, nemmeno lui credeva nella possibilità di trovare veramente un cadavere.

«A Vincè, famo du’ buche e se n’annamo a dormì. Stanotte, di rompimenti de cojoni ce ne avemo già avuti abbastanza» gli aveva detto il poliziotto maschio. E poi, non era mica una novità. Negli anni, ne aveva trovate di cose strane sottoterra. C’è tutto un mondo lì. Resti di vite vissute in superficie, finiti sepolti dove nessuno avrebbe potuto più trovarli. Come imbarazzanti segreti da far sparire per sempre.

Mentre il manovratore andava avanti con il lavoro di scavo, un cane meticcio, scappato da chissà dove, si avvicinò al sacco nero. Prese a mordere la plastica con ostinazione finché non riuscì ad aprire uno squarcio da dove sbucò quella che sembra va la mano di un essere umano. Da qualche minuto veniva giù una pioggia leggera e insistente. Il cielo era diventato grigio, dello stesso colore della sabbia e della scogliera frangiflutti che copriva la vista del mare. Se non fosse stato per il giallo della ruspa e l’azzurro della volante, sembrava di essere sprofondati all’improvviso in un vecchio film neorealista in bianco e nero. Il meticcio percepì l’inconfondibile odore della morte che si era liberato nell’aria e iniziò ad abbaiare in modo isterico, come se si trovasse al cospetto di un nemico invisibile. Solo allora Vincenzo capì che qualcosa non andava. Spense il motore, scese dal mezzo e andò a controllare da vicino. Il cane ebbe paura e si allontanò di qualche metro, fermandosi a osservare la scena a distanza di sicurezza. L’arto che si intravedeva sembrava rinsecchito ed era ridotto quasi a uno scheletro ma si capiva che probabilmente apparteneva a una ragazza. All’anulare portava un anello di metallo chiaro, con due cuori intrecciati tra loro. Sembrava molto più grande dell’esile dito e pendeva tutto da un lato. L’uomo restò a osservare immobile la scena, freddato dallo stupore. Il suo pensiero andò istintivamente ai genitori della ragazza, alla loro disperazione, alla speranza di ritrovarla in vita che, sicuramente, non li aveva mai abbandonati del tutto. Se li vide davanti, stremati dal dolore e dallo sconforto, chiedere la grazia di avere almeno una tomba su cui pregare.

Forse Dio quel giorno li aveva ascoltati, pensò, e aveva affidato a lui il compito di porre fine al loro supplizio. Dopo pochi secondi di confusione, si voltò di scatto verso la volante che si trovava sulla strada sterrata, a una cinquantina di metri. Per farsi notare, iniziò a sbracciare in silenzio. Non voleva attirare l’attenzione di quelli che vivevano nelle baracche poco distanti, sarebbe scoppiato il caos se qualcuno di loro si fosse reso conto di quanto stava accadendo.

I due poliziotti chiacchieravano e non si accorsero dell’agitazione di Vincenzo. L’agente scelto Marco Rovai, come dicono a Roma, batteva i pezzi da mesi alla bella collega che gli faceva da autista. In quel momento, era riuscito a strapparle un sì per un invito a cena. Di quanto accadeva intorno non gliene fregava assolutamente nulla. Il povero operaio fu costretto a raggiungere l’auto e a bussare al finestrino. Il poliziotto scese.

«Che c’è? Che voi? Avemo finito?» chiese, infastidito, Rovai.

«Ma che avemo finito. È mo che s’inizia. Venite a vedé. Il morto ce sta davero. ’Na ragazza, pare ’na ragazza. Poverina. Pace all’anima sua e di chi se la dovrà piagne.»

Uscita prevista: 14 maggio 2024

È possibile prenotarlo in tutte le librerie e i negozi online.

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