Noi siamo Morte e distruttori del Creato.

Una narrazione dal ritmo preciso e avvolgente che conduce alla fine del film senza dare il tempo di capire che sono passate tre ore. Un incastro perfetto di scene, mai banali o ripetitive, che saltellano su tre diversi piani temporali con la grazia di un ballerino provetto. Il bianco e nero e il differente uso del colore aiutano, chi si dovesse distrarre un attimo, cosa davvero molto difficile, a ritrovare il cammino all’interno della storia di un uomo e di un gruppo di scienziati che hanno cambiato per sempre il destino dell’intera umanità, accompagnandola sull’orlo di un abisso che da allora è sempre immanente.
Oppenheimer è il capolavoro di Christopher Nolan. Una pellicola con un cast stellare, una colonna sonora potente che libera le emozioni lasciandole fluttuare nell’aria in balia dei venti, una fotografia onirica e visionaria, un montaggio che sembra essere suggerito dalla bacchetta di un direttore d’orchestra.
Oppenheimer è un film che svela, una volta per tutte, la grande menzogna, raccontata per anni, sulla bomba atomica costruita e utilizzata a fin di bene, come male necessario per porre fine a una guerra che, in realtà, era già finita. Così ti ritrovi davanti a centinaia di migliaia di morti, civili innocenti, famiglie intere, donne, bambini, massacrati solo per un’affermazione di potenza, per testimoniare la capacità di distruggere tutto ciò che Dio ha generato.
È una rivelazione che, lentamente e ineluttabilmente, penetra nel profondo dell’anima e lascia dentro un profondo senso di colpa per il solo fatto di appartenere al genere umano. Così, quella frase della Bhagadav Gita, che esprime il travaglio interiore dell’uomo e che Oppenheimer ripete spesso durante il film, “io sono diventato Morte, il frantumatore dei mondi,” sui titoli di coda diventa “noi siamo Morte e distruttori del Creato” e te la porti a casa atterrito dalla consapevolezza di non poterci fare niente.