Dopo una prima tiratura di 10.000 copie, ad un mese dall’uscita, la casa editrice mi comunica che si va in ristampa. Di questi tempi mi sembra un’ottima notizia. (Foto Sara Ruffinelli)

Dopo una prima tiratura di 10.000 copie, ad un mese dall’uscita, la casa editrice mi comunica che si va in ristampa. Di questi tempi mi sembra un’ottima notizia. (Foto Sara Ruffinelli)
Salve, ho appena finito di leggere, d’un fiato, il suo romanzo “la stagione del fango” e vorrei ringraziarla per la bella compagnia e le riflessioni che mi ha lasciato.
Premetto che sono un avvocato che opera nel settore civile che però, a suo tempo, diede la propria tesi in procedura penale (sulle letture dibattimentali), erano gli anni di mani pulite, della morte dii Falcone e Borsellino, e probabilmente anche per quello sognavo, forse non con la giusta convinzione, di diventare un magistrato ed entrare con quel ruolo nel Sistema Giustizia come lo chiama lei. Tra l’altro amavo molto e leggevo con passione il buon Sciascia.
Purtroppo non sono risuscito ad entrare in magistratura e non mi sono appassionato al processo penale da lato della difesa anche se … anche se l’esperienza giustizia, da lato del difensore, di colui che parla a nome di qualcun’altro per sostenerne la domanda di giustizia, mi ha portato ad incontrare più dei Signor Giudice alla Vecchioni, e persino qualche Giudice in difficoltà con l’italiano, con il ragionare, come direbbe Sciascia. Questo per dire che la magistratura, alla prova dei fatti, ha mostrato anch’essa i limiti e difetti della Repubblica tutta. Forse oggi ne è il paradigma: nel suo romanzo spiega bene come alla fine c’è sempre un “gabinetto” ministeriale, politico o altro consesso di pochi che riesce a non rispondere dei propri errori, che invece ricadono su molti, continuando, quasi per inerzia, a far carriera, ad accrescere il proprio reddito (come accade al magistrato che, con la sola anzianità, diventa cassazionista) a prescindere dal merito, dalla forza dimostrativa delle proprie sentenze, dai tempi che si prende per decidere. Non parlo di vittime alla Tortora, ma di giudici che impiegano 5 anni per risolvere una causa civile di natura documentale (che i loro colleghi magari hanno definito in un anno), di sentenze di Cassazione pronunciate sulla base di principi di diritto ampiamente superati dalla Cassazione stessa, di giudici che trascinano la causa in vista della prossima pensione, o promozione, lasciando al collega la matassa da sbrigare. Insomma piccole sciatterie da burocrate che sommandosi affossano il sistema giustizia nella sua quotidianità.
Tutto questo per dire che mi sono sentito particolarmente vicino alle motivazioni che hanno ispirato il suo romanzo perché credo ancora che una giustizia migliore sia possibile anche grazie a quei (ahimè sempre meno) che fanno bene il loro lavoro. E mi è parso che, attraverso il romantico riavvicinamento del protagonista alla sua famiglia, ai suoi successi nelle indagini, lei ci dica che ci sia ancora la ragionevole, e ragionata, possibilità di confidare nell’amore come nella giustizia.
Probabilmente non sono stato chiaro ma colgo l’occasione per incoraggiarla a continuare sia come scrittore che come uomo di giustizia augurandole di fare proseliti.
Con affetto Gianmichele
Grazie Gianmichele, quando ricevo commenti come il suo mi sento particolarmente gratificato perché confermano che il tema narrativo di fondo ha raggiunto il suo obiettivo. Anche se particolarmente complesso e spinoso come quello affrontato ne “La stagione del fango”. Mi fa piacere che condivide anche la mia idea che tutta l’inefficienza della pubblica amministrazione nasce dalla scarsa considerazione che si ha per due principi cardine, che dovrebbero regolarne il funzionamento: il principio di responsabilità (chi sbaglia paga) e il principio di merito (chi fa bene viene premiato). Purtroppo, non è così. Nella pubblica amministrazione pagano prevalentemente le relazioni (amicali, parentali, politiche, sentimentali …) perché la carriera ed il successo è rimesso al giudizio (spesso all’arbitrio) di pochi. A differenza del privato, dove si viene sottoposti al vaglio di molti (clienti, pazienti, lettori, ecc) e non si può barare con facili scorciatoie. Questo, però, non ci deve impedire di fare sempre il nostro dovere fino in fondo. Per rispetto verso i veri datori di lavoro, che sono i cittadini che ci pagano lo stipendio e non i nostri superiori. Un caro saluto.